Emozioni

Lo stress…conoscerlo per affrontarlo

Lo stress...conoscerlo per affrontarlo

Che cos’è lo stress?

Certi eventi della vita (stressori) provocano, nell’organismo, una reazione che va ad alterarne l’equilibrio.

Tale reazione, denominata stress, può essere transitoria (stress acuto) o permanere molto più a lungo (stress cronico).

 

Quando sopraggiunge lo stress?

Lo stress sopraggiunge quando la persona, di fronte a determinati eventi o situazioni, sente di non potervi fare fronte, ritenendo di non avere risorse adeguate.
Dal momento in cui lo stress si cronicizza, l’alterazione degli equilibri dell’organismo diventa permanente, trasformandosi in tensione e stati d’ansia.

 

Quali sono gli stressori più comuni?

Stressori personali: problemi e preoccupazioni familiari, difficoltà nelle relazioni interpersonali, isolamento sociale, impossibilità di poter soddisfare i propri bisogni nelle relazioni significative, perdita del lavoro.

Stressori lavorativi: problemi legati alla discriminazione nell’ambiente di lavoro , al rapporto con i colleghi, il pendolarismo, un eccessivo carico di lavoro, ecc…

 

Da che cosa dipende il fatto di sentirsi più o meno stressati?

Il livello d’intensità dello stress non è correlabile alla quantità o alla qualità degli stressori, bensì alla percezione che l’individuo ha di poter controllare/fronteggiare o meno la situazione.

Il modo in cui si percepisce un evento è sempre personale; la percezione dell’evento determina la sensazione di maggiore o minore gravità della situazione.

Due persone avranno dello stesso evento una diversa percezione (maggiore o minore gravità) e saranno anche diverse le modalità di reagire a quell’evento.

 

Come si manifesta lo stress?

La sintomatologia dello stress coinvolge livelli diversi dell’organismo:

  • livello cardiovascolare:
    respirazione rapida e superficiale, irrigidimento del torace, palpitazione cardiaca, alta pressione sanguigna.
    • livello vascolare:
    emicrania, mal di testa da tensione, sudorazione delle mani e dei piedi.
    livello gastrointestinale:
    diarrea, stipsi, eruttazione, flatulenza, colite, difficoltà di digestione, ulcera.
     livello muscolare:
    mal di schiena, dolori al collo, tensione muscolare, dolore-tensione alla mandibola.
     livello neurologico:
    tic/ tremori, capogiri, secchezza della bocca.
    • livello dermatologico:
    eruzioni cutanee, acne.
     livello del sistema immunitario:
    raffreddori frequenti, aumento delle allergie.
    Altro:
    necessità di urinare con frequenza, sindrome premestruale, asma, spossatezza, disturbi del sonno.

 

Come si evidenzia lo stress sul piano psichico?

La sintomatologia psichica che può scaturire da una condizione di stress cronico, si manifesta con reazioni diverse:

  • reazioni caratterizzate da bassa energia:
    depressione, disperazione, impotenza, senso di scarso valore personale, noia timore;
  • reazioni caratterizzate da alta energia:
    irritabilità, risentimento, senso di ostilità, ansia , frustrazione, impazienza;
  • risposte comportamentali:
    digrignare i denti (bruxismo), abitudini alimentari irregolari, rosicchiare le unghie, reazioni emotive eccessive, incapacità di portare a termine i progetti, intraprendere più cose contemporaneamente.

E’ possibile imparare a rispondere agli eventi stressanti?

Per tutelare l’organismo dallo stress si può modificare il proprio stile di vita, anche se non sempre ciò è sufficiente a ripristinare gli equilibri precedenti.
Oppure si può tentare di eliminare la causa dello stress. ma questo può essere troppo complicato o impossibile da realizzare.

Quando la persona permane nella condizione di stress, questo si cronicizza, producendo una serie di sintomi e alterando la normale funzionalità dell’organismo.

Soprattutto quando le condizioni da cui è scaturito lo stress non possono essere modificate, la persona può solo dotarsi di strumenti più efficaci per fronteggiarle e di conseguenza sentirsi meno travolto dagli eventi.

 

A chi rivolgersi per un parere specialistico?

La figura di riferimento nel panorama specialistico è quella dello psicologo-psicoterapeuta.

Come sempre il primo colloquio è il primo passo.

in base all’entità del disagio e delle limitazioni sofferte a causa dello stress (sintomi), sarà prospettato alla persona un progetto terapeutico finalizzato alla riduzione dei sintomi e allo sviluppo di capacità necessarie a superare gli eventi senza eccessive ripercussioni sul piano della salute globale.

All’interno del progetto terapeutico lo sviluppo dell’autostima e dei punti di forza potrà conferire una tempra più resistente per evitare l’insorgenza dello stress in futuro, promuovendo reazioni più adeguate e funzionali al raggiungimento degli obiettivi personali.

 

In che consiste il lavoro terapeutico per combattere lo stress?

In primo luogo la persona deve comprendere qual è la sua abituale modalità di reazione agli  eventi percepiti come stressanti.

  • Il lavoro successivo potrà comprendere:
    tecniche finalizzate al rilassamento psicofisico (ad es. il Training Autogeno): tendono a ripristinare la funzionalità dell’ organismo e si focalizzano in particolare sulla funzione respiratoria;
  • apprendimento di competenze volte a migliorare la comunicazione e il sostegno sociale.

I segnali della fine della relazione di coppia

I segnali della fine della relazione di coppia

Se nella relazione di coppia si sta attraversando un momento particolarmente difficile o siamo particolarmente infelici, come capire se queste sensazioni rivelano una fine imminente o è una semplice crisi passeggera?

 

Quali sono i segnali della fine di una relazione di coppia?

Spesso siamo consapevoli che qualcosa sta accadendo, ma preferiamo ignorarlo, perché porre fine ad una relazione è estremamente doloroso!

Vediamo quali sono i segnali che rivelano la fine di una relazione: la vita di coppia si è trasformata in un campo di battaglia e l’unica esperienza che si condivide con il partner è quella conflittuale.

 

  1. I Litigi

La vita di coppia si è trasformata in un campo di battaglia e l’unica esperienza che si condivide con il partner è quella conflittuale.

Ogni  incontro è l’occasione per esprimere rabbia e delusione.

Ormai tutti i fattori positivi si sono esauriti ed il rapporto è entrato in una fase degenerativa.

A volte restano alcuni punti di contatto (ad es. il rapporto sessuale) e ci si illude di riportare in vita il rapporto.

Se litigare in se può essere un atto positivo all’interno di una relazione sana, i battibecchi inutili e ripetitivi più spesso indicano che il rapporto è arrivato al capolinea.

Essi sono l’ennesima rappresentazione della stessa scena di un film visto e rivisto.

Spesso, inoltre, si tollera di litigare in quanto c’è la speranza che sia l’ultima discussione e si ottenga qualche risultato.

Ma se nessuno dei due modifica le proprie posizioni il miracolo non avviene.

Questo vuol dire che il litigio è solo un modo per evitare la fine del rapporto.

 

  1. Troppe Differenze Inconciliabili.

Le differenze tra i partner diventano tali quando lo spazio condiviso è diventato talmente ristretto da essere destinato solo alle diversità.
Ecco quali sono tali tipi di differenze:
– Abitudini
– Amici
– Educazione
– Gusti culturali
– Valori.
Quando, infine, neppure i compromessi sono sufficienti a garantire l’evolversi della relazione, è difficile che sopravviva.

 

  1.   La Noia.

Ci si sente annoiati e depressi senza un vero motivo.

Tra noi ed il partner non accade più nulla di nuovo.

Può essere che ci si è allontanati a poco a poco e trasferiti in due mondi separati e diversi.

Oppure è accaduto un evento drammatico che, invece di avvicinare, ha allontano i partner.

Insomma la relazione non è più una risorsa su cui poter contare.

 

  1. La Distanza emotiva.

Ci accorgiamo che la persona a cui eravamo legati non è più presente quando cerchiamo un contatto.

Cerchiamo di entrare in contatto con l’altro, ma avvertiamo solamente la sua assenza.

Questo accade quando i nostri interessi si spostano altrove, come sul lavoro, sulle amicizie e sull’attività fisica.

La distanza emotiva indica, di solito, che, inconsapevolmente, entrambi i partner si sono già creati una realtà privata alternativa, fuori dalla coppia, e che hanno omesso di comunicare tra loro per creare una realtà comune che soddisfi le esigenze di entrambi.

 

  1. Le Avventure.

Le avventure sono il sintomo classico che indica che qualcosa non va.

In questo modo togliamo al rapporto un elemento che lo rende unico ed esclusivo.

Vivere relazioni al di fuori del rapporto di coppia è segno che esso è in crisi e può rappresentare un ambiguo tentativo di comunicare.

 

  1. Un Trasloco.

Quando la relazione ha superato il suo ciclo vitale, un cambiamento di luogo può far emergere il fatto che le sue fondamenta si sono sbriciolate.

Diciamo che il rapporto di coppia era tenuto insieme solo dal vivere in una certa casa, in un determinato quartiere e in una certa città.

Il trasloco è un cambiamento radicale in cui differenze inconciliabili vengono alla luce.

Lo stress che accompagna il traslocare ha la capacità di mettere in risalto le zone d’ombra del rapporto.

Affrontarle diventa l’occasione per trasformare la relazione o per capire se, in realtà, è morta da tempo.

Porre la propria attenzione su questi segnali aiuta a capire se stiamo attraversando un periodo veramente difficile o siamo veramente infelici.

Spesso sappiamo perfettamente cosa stia accadendo, ma preferiamo sopportarlo o addirittura ignorarlo e faticosamente andiamo avanti lasciando le cose così come stanno.

Questo accade poiché abbiamo paura, per non dire che siamo terrorizzati dalla sofferenza che potremmo provare scrivendo

La parola fine alla nostra storia di coppia

Sembra più semplice, meno faticoso e doloroso, sopportare una storia fatta di litigi che ci annoia e le scappatelle del partner.

Ma i rapporti di coppia dovrebbero migliorare la qualità della vita e quando prevalgono esclusivamente le esperienze spiacevoli diventa opportuno chiedersi se veramente vale la pena continuare la relazione.

A volte le relazioni si esauriscono e bisogna prenderne atto.

È vero, è difficile fare tutto da soli.

Ecco perché è importante chiedere aiuto, anche ad una psicoterapeuta, che possa sostenere e accompagnare, per comprendere cosa stia realmente accadendo ed, eventualmente, aiutare a trovare il coraggio di prendere la decisione giusta.

 

Chiudere il rapporto o continuare?

Potrebbe anche essere che valga la pena cercare di superare le difficoltà e, con un valido aiuto, tentare tutte le strade possibili per ricostruire il rapporto.

Ma  se ci rendiamo conto che la relazione è finita, il supporto della psicoterapeuta può accompagnarci a sopportare meglio la sofferenza che inevitabilmente accompagnerà la separazione, e a riprendere in mano la nostra vita.

Dipendenza affettiva:quando l’ossessione travolge la coppia

Dipendenza affettiva: quando l'ossessione travolge la coppia

L’ amore nasce dall’incontro di due persone e rappresenta un’occasione di crescita, arricchimento e reciprocità.

Durante la fase dell’innamoramento è assolutamente normale che ci sia un certo grado di fusione, ossessione per il partner e dipendenza affettiva che, con lo stabilizzarsi della relazione ed il passare del tempo, tende a diminuire.

Quando invece, pur passando gli anni, una persona vede il partner come  l’unico scopo della propria esistenza ed il riempimento dei propri vuoti affettivi, l’amore può trasformarsi in una “gabbia” con sbarre fatte di dolore e da cui non si può uscire.

La presenza dell’altro è vissuto come una questione di vita o di morte e, quindi, non più come una libera scelta.

Anzi diventa una vera e propria ossessione per il partner!

Senza l’altro abbiamo la percezione di non esistere.

L’affetto e l’amore verso una persona assumono le caratteristiche di una dipendenza ed è per questo che si parla di dipendenza affettiva.

Nel rapporto quello che inebria è la lotta: la dipendenza si alimenta del desiderio di essere amati proprio da chi non ci ricambia come vogliamo e cresce in proporzione al rifiuto.

Diciamo che se non ci fosse il rifiuto forse l’amore si spegnerebbe.

Ciò che viene sperimentato come amore diventa una droga.

I sintomi, in effetti, sono identici e la persona prova:

  1. Ebrezza quando il partner gli è indispensabile, in quanto non riesce ad ottenere in altro modo la sensazione di piacere che prova quando sta con lui o lei.
  2. Astinenza quando la sua mancanza lo getta in uno stato di allarme. Pensare la propria vita senza l’altro è non è pensabile. L’altro è visto come l’unica fonte di gratificazione e le attività quotidiane sono trascurate. L’unica cosa  che conta è il tempo trascorso con l’altro.
  3. Incapacità a controllare il proprio comportamento e la lucidità  si riduce. Nei momenti  in cui la persona  capisce  cosa sta vivendo se ne vergogna e si sente sconfitto. Tutto ciò genera una ricaduta nella dipendenza affettiva che fa percepire, più di prima, i propri bisogni legati all’altro. Durante questi vissuti la persona prova rabbia e senso di colpa.

Si può generare, inoltre,  una paura ossessiva di perdere la persona amata.

Tale paura  si esprime mostrando gelosia e possessività.

 

Altro fattore da tenere in considerazione è che la dipendenza affettiva  è una dinamica a due.

Entrambi i partner mostrano dipendenza affettiva l’uno dall’altro e iniziano una relazione basata sul controllo costante dello stato mentale dell’altro.

Per entrambi  è l’ unica possibilità di mostrare il proprio valore, la propria forza e la propria autostima .

In questa situazione parliamo di co-dipendenza affettiva.

Essere co-dipendente significa dipendere da chi a sua volta dipende (cibo, alcool, gioco, droga etc.), cioè la persona è ossessionata dal comportamento del partner.

Di solito  viene vista come una persona forte, sempre dedita agli altri, volta sacrificare la propria vita per i figli, il marito/la moglie e il genitore. Inoltre è molto attenta al comportamento dell’altro  diventando controllante ed invadente  e si appropria di ruoli che non sono suoi, facendosi carico della responsabilità degli altri familiari.

A lungo andare, però, questo comportamento , dapprima gratificante, diventa  pesante e faticoso  per il fatto che nessuno le presta l’attenzione che si aspetta.

Di solito Il o la partner della persona co-dipendente può essere una persona sfuggente, irraggiungibile (per es. sposata) o anche  una persona che  mimetizza la sua dipendenza affettiva con una dipendenza da cibo, droga,  alcool o gioco d’azzardo.

Tutti questi  comportamenti diventano per il co-dipendente una scusante per dedicarsi interamente all’altro bisognoso.

Uscire dalla dipendenza affettiva e co-dipendenza, non è impossibile anche se faticoso e doloroso.

Essere a conoscenza e consapevoli  di soffrire di questi tipi di dipendenza è il primo passo per aiutarsi a liberarsene.

Come uscire dalla dipendenza affettiva

Come uscire dalla dipendenza affettiva

Ci si chiede spesso se è possibile uscire dalla dipendenza affettiva.

La risposta a tale domanda è positiva.

Infatti uscire dalla dipendenza affettiva, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile.

È indispensabile, innanzi tutto, diventare più consapevoli della propria situazione relazionale.

Si parla di Dipendenza Affettiva quando l’affetto e l’amore verso una persona assumono caratteristiche tipiche della dipendenza, con tutti i sintomi negativi che purtroppo contraddistinguono questa dinamica psicologica.

La persona sperimenta e ricerca in modo continuo il desiderio di fusione con l’altra persona (atteggiamento tipico della prima parte di un rapporto affettivo, ma tendente alla diminuzione e alla stabilizzazione nel tempo).

In tal modo pensieri, atteggiamenti, emozioni, spazi e tempi sono completamente dedicati all’altro/a. Il partner diventa unico scopo di vita, risolutore di problemi personali, ideale da seguire e perseguire, modello di identificazione e, quindi, esistenza stessa.

 

Ma quando amiamo troppo?

Amiamo troppo quando:

  • Essere innamorati significa soffrire;
  • Con gli amici/che parliamo di lui/lei, per es., dei suoi problemi, di quello  che pensa, dei suoi sentimenti;
  • Giustifichiamo i suoi malumori, il suo brutto carattere, la sua indifferenza;
  • Ci adattiamo anche se non ci piacciono i suoi atteggiamenti e    comportamenti, pensando che, se saremo abbastanza affettuosi, cambierà;
  • La relazione mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza;
  • Siamo convinti che una relazione intima debba essere fatta così, nonostante l’insofferenza e l’insoddisfazione che proviamo;
  • Abbiamo un/una partner incompatibile con i nostri sentimenti, i nostri valori, che non è disponibile. Eppure non riusciamo a lasciarlo/la, perché ne abbiamo bisogno sempre di più.

Più che amore, questo tipo di relazione si può chiamare una fissazione.

Un amore basato sulla dipendenza affettiva dall’altro lascia pensare che, dietro tale ossessione per la persona amata, ci sia la paura, non l’amore.

Paura di rimanere soli, di essere ignorati, di non essere degni di considerazione e di essere abbandonati.

La persona offre amore sperando che il/la partner lo/la protegga dalla paura e sperando di essere ricambiata.

Ma la strategia non funziona e allora si riprova, riprova all’infinito e si ama sempre di più.

È necessario conoscere le storie personali per comprendere come mai si sviluppa la predilezione per questo tipo di rapporti, che procurano così tanta sofferenza

Alcune ricerche hanno evidenziato una correlazione tra l’insorgere di un comportamento di dipendenza affettiva in età adulta e alcune dinamiche familiari vissute durante l’infanzia.

Qualche esempio:

  1. L’impossibilità, da parte del bambino, di sperimentare il senso di  sicurezza rispetto alla figura affettiva di riferimento;
  2.  Tendenza ad assumere con il partner lo stesso ruolo assunto durante      l’infanzia con il genitore di riferimento;
  3. Provenienza da una famiglia che tende ad ignorare le percezioni e i  sentimenti del bambino che, di conseguenza, comincia ad adattare le  proprie percezioni a quelle delle figure genitoriali, perdendo la capacità di  entrare in contatto con i propri stati d’animo autentici e la fiducia nelle  proprie sensazioni;
  4. Alto livello di conflittualità, tensione e violenza tra i genitori o tra questi e i  figli;
  5. Genitori in competizione tra loro, manipolatori nei confronti del bambino  con cui cercano di allearsi a discapito del coniuge;
  6. Genitori a loro volta dipendenti da sostanze.

A volte, anzi spesso,  le persone dipendenti affettivamente, in particolare nei casi di co-dipendenza (entrambi i partner dipendono dall’uno e dall’altro) nella coppia, manifestano alcuni sintomi collegati alla loro modalità relazionale, quali:

  • Disturbi d’ansia
  • Insonnia
  • Depressione
  • Disturbi alimentari
  • Abuso di alcool o di sostanze.

Sono tutti sintomi riconducibili ad uno stato psicofisico di stress.

Vediamo ora come uscire dalla dipendenza affettiva e costruire un altro tipo di relazione!

Uscire dalla dipendenza affettiva, per quanto difficile e doloroso, non è comunque impossibile.

È indispensabile diventare più consapevoli della propria situazione relazionale ed avere un supporto psicoterapeutico che incoraggi a cambiare il proprio comportamento ed a trasferire un po’ di amore ed attenzione dal/la partner a se stessi, alla propria salute ed alla propria vita.

Non ci sono scorciatoie per liberarsi della dipendenza.

I percorsi terapeutici suggeriti consistono nella terapia:

  • di coppia:nel caso in cui entrambi i partner avvertano il disagio nella relazione e siano motivati a cercare una soluzione un percorso di coppia può essere molto utile anche per contrattare di nuovo alcune regole fondamentali dello stare insieme.
    • di gruppo:confrontarsi e condividere con altre persone la propria difficoltà è di gran giovamento.
    • Individuale: per riflettere ed elaborare nuove modalità per ritrovare il proprio benessere personale con o senza l’altro/a.

Autosabotaggio: quando ci tramutiamo nel nostro stesso ostacolo

Autosabotaggio: quando ci tramutiamo nel nostro stesso ostacolo

L’autosabotaggio può essere definito come un meccanismo non consapevole della mente che ti porta a creare ostacoli nel cammino verso i tuoi obiettivi.

Capita molto spesso purtroppo che nonostante il nostro impegno non si ottengano i risultati voluti.

Quante volte hai avuto questa sensazione e ti sei ripetuto “Ho fatto di tutto, ma non c’è proprio soluzione”.

Ti stai autosabotando!

L’autosabotaggio è una strategia che ha l’obiettivo di limitare, rallentare ed evitare il raggiungimento di un risultato personale. È un automatismo che pone un freno alla nostra crescita personale e al raggiungimento degli obiettivi  che ci siamo prefissati, perdendo l’occasione di poter migliorare la qualità della nostra vita.

La mente teme ed evita il cambiamento e tutto quello  che ne consegue,soprattutto quando è insicura e sottoposta a stress elevato.

Per aiutarsi  crea delle barriere che fanno sentire a disagio quando si comincia ad esplorare una situazione  che non si conosce, mai provata prima. Disagio rispetto al sentirsi a proprio agio.

La mente, così,  fa di tutto per farci restare ancorati a ciò che comunque conosciamo.

Ecco alcune forme frequenti  di auto sabotaggio:

  • Rimandare
  • Indecisione
  • Perdere tempo
  • Essere sempre accondiscendenti con gli altri
  • Mania di perfezionismo
  • Lamentarsi e avere un atteggiamento da vittima
  • Mantenere relazioni non soddisfacenti
  • Indugiare con il cibo, il fumo, l’acool e gli stupefacenti
  • Abitudini scorrette

Tutte queste modalità servono essenzialmente a scaricare la responsabilità dei propri insuccessi.

Quindi se è vero che una certa rigidità e svogliatezza cognitiva è anche fisiologica bisogna cercare di capire i meccanismi che la mantengono per evitare che si ritorca contro di noi.

Il nostro apparato mentale ci indirizza in automatico a ripetere sempre gli stessi schemi, gli stessi metodi e, di conseguenza, le stesse soluzioni.

Questo ripetere sempre lo stesso è funzionale all’economia mentale e dona anche un non trascurabile senso di sicurezza.

 Ma la nostra mente può fare molto di più!

Siamo noi che dobbiamo educarla e portarla verso altre competenze. Non dobbiamo andare dietro alla mente che agisce in automatico.

Interrompiamo gli automatismi della mente insegnandogli altri pensieri.

È basilare far diventare automatici i nuovi pensieri!

All’inizio è faticoso! Ma dandosi tempo e con pazienza diventeranno automatici.

Così è anche per le azioni.

Facciamo un esempio.

Abbiamo cambiato posto al carica batteria del nostro cellulare, ogni volta che lo dobbiamo mettere sottocarica lo cerchiamo dove stava prima e ci chiediamo dove l’abbiamo messo senza ricordarci che lo abbiamo spostato. Succederà svariate volte prima di ricordarci il nuovo posto, se ogni volta non facciamo mente locale, ma agiamo, appunto in automatico.

Prestando attenzione si può costruire lo schema di un altro gesto che, un po’ alla volta, diventerà automatico ed entrerà a far parte del repertorio delle nostre abitudini.

Se perdessimo questa capacità che ci fa essere altro rispetto ai nostri schemi mentali perderemmo, di volta in volta, la capacità di scegliere lo schema più opportuno per adattarci alla realtà e per modificarlo creativamente rispetto alle nostre esigenze.

Siamo normalmente dentro lo schema delle nostre routine, ma possiamo anche uscirne!

Certo non senza investire energie, non senza impegno e una buona dose di fiducia e coraggio.

Ma invece che facciamo?

Nel tentativo di risolvere ci sabotiamo imponendoci delle restrizioni non richieste!

È come se ci dicessimo: “Non devo né posso uscire dalla zona di confort!”

Come se non fosse lecito per noi uscirne.

Ce lo impediamo da soli.

Così continuiamo a ritrovarci sugli stessi errori fino a confermarci che non c’è soluzione al nostro problema.

È così per la nostra vita in generale!

 

Sintomi fisici dell’autosabotaggio.

Quando la nostra anima cerca di avvisarci che non c’è equilibrio tra il nostro fare ed il nostro sentire ed il fisico non riesce a trovare più l’armonia di cui necessita per stare in salute,  non potendo parlare, ci avvisa con  sintomi fisici che ci costringono a fermarci:

  • Attacchi di panico
  • Depressione
  • Blocchi muscolari
  • Comportamenti inadeguati.

Imparare ad ascoltare i sintomi, non spostare l’attenzione su di loro preoccupandoci, e comprendere i reali motivi dell’insuccesso per riuscire a vivere in armonia con se stessi  aiuta a ritornare sulla giusta per rimetterci in cammino verso i nostri obiettivi.

E’  meglio prendersi una pausa per capire i nostri reali bisogni e le nostre vere aspirazioni.

Se ignoriamo tutto ciò i sintomi fisici si faranno sempre più insistenti e frequenti.

Attribuire le colpe agli eventi e al destino distoglie lo sguardo da ciò che realmente sentiamo e non porta a capire i veri motivi dell’insuccesso.

Altra forma di autosaboggio! Non sono le circostanze!

Siamo noi a sabotare inconsapevolmente il raggiungimento delle mete prefissatre.

Per qualsiasi azione si voglia intraprendere, la piena fiducia in sé equivale alla consapevolezza delle abilità che sappiamo e possiamo mettere in atto, come anche di quelle capacità sulle quali è necessario ancora un lavoro di approfondimento e di costruzione di efficacia.

La fiducia nella propria persona deve essere un esame oggettivo del nostro carattere e delle capacità così da poterci indirizzare rispetto alle scelte e alle azioni.

Chi ha piena fiducia in sé , consapevolezza reale delle sue capacità e caratteristiche, anche criticato, è stabile sulle sue gambe dall’inizio alla fine di ogni azione.

Avrete capito il principale blocco della nostra autostima è lo stress.

Se prima non pensiamo ad imparare  a gestirlo tutti i nostri tentativi saranno vani!

IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS

IL DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS

In seguito a che cosa si può verificare un disturbo post-traumatico da stress? 

Il disturbo post traumatico da stress si verifica in seguito ad un trauma molto forte subito dalla persona.

Nel disturbo post-traumatico da stress si ha una risposta estrema ad un fattore fortemente stressogeno, risposta che comprende un aumento notevole del livello di ansia, l’evitamento degli stimoli associati al trauma ed un indebolimento della reattività emozionale.

 

Da che cosa è causato un disturbo post-traumatico da stress?

L’origine di questa condizione è un evento traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato:   

1)  la  morte, la minaccia di morte, o gravi lesioni (es. incidenti automobilistici, terremoti, alluvioni);      

 2)  una minaccia all’integrità fisica propria o di altri (es. abuso, violenza fisica o psicologica).  L’evento deve avere creato una paura intensa, orrore e un senso di impotenza.

Quindi, la causa primaria del disturbo post-traumatico da stress risiede in un evento esterno, non nella persona.

 

Come si reagisce al trauma nel caso di incidenti o terremoti?

Nel caso di evento singolo e non previsto, la persona  tende a imprimere nella memoria l’avvenimento  in maniera molto dettagliata.

Il ricordo è vivo e ricorrente. IL  ripercorrere quanto avvenuto è  un  tentativo di collocarlo in una logica e darvi la spiegazione che lo renda più tollerabile.

 

Come si reagisce, invece, al trauma nel caso di abusi o violenza?

Nel trauma causato da abuso o violenza, che perdura nel tempo e si ripete più volte, la persona tende a cancellare e rifiutare fortemente quanto accaduto e a rimuoverlo dalla memoria storica e da quella emotiva.

 

Da cos’ altro è caratterizzato tale disturbo?

E’ caratterizzato da:

1) abbassamento della reattività generale che si manifesta:

  • nel diminuito interesse per gli altri;
  • nel senso di distacco e di estraneità;
  • nell’ incapacità di provare emozioni positive.

2) instabilità, un passaggio, cioè, attraverso fasi alterne in cui la persona dimentica l’ esperienza traumatica e altre in cui essa riaffiora violentemente.

3) presenza di sintomi di aumentata attivazione fisiologica quali:

  • la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno;
  • la difficoltà a concentrarsi;
  • l’ ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme finalizzate a combattere le immagini prodotte dalla loro mente e la notevole intensità delle loro risposte di allarme.

La presenza di un Disturbo Post Traumatico da Stress porta con sé, quindi, la frequente rivisitazione del trauma.

 

Cosa comporta questo frequente ritorno al trauma?

Il ritornare continuamente con la mente all’evento traumatico determina un malessere molto alto nelle persone che li vivono e innalzano fortemente la soglia d’allarme che mette in azione tutta la parte fisiologica con cui il nostro organismo reagisce ad un possibile pericolo seppur interno e non concretamente individuabile nella realtà.

Spesso sono determinati dal verificarsi di avvenimenti o dal presentarsi di stimoli simili o associati all’evento che ha causato il trauma e che,  a prima vista, possono sembrare insignificanti (un odore, un colore, un oggetto, una frase, etc.).

Questo costringe la persona a mettere in atto delle strategie di difesa estremamente dispendiose sul piano delle energie emotive e fisiche per evitare tutto ciò che possa ricondurre all’evento traumatico.

 

Quali altre difficoltà può vivere la persona?

Altri problemi che si associano a tale disturbo sono:

  • ansia, depressione;
  • rabbia;
  • senso di colpa;
  • abuso di sostanze;
  • problemi coniugali e sul lavoro;
  • pensieri e progetti di suicidio;
  • episodi esplosivi di violenza;
  • problemi di natura psicofisiologica come dolori lombari, cefalea e disturbi gastrointestinali.

 

Tutte le persone che vivono un evento traumatico sviluppano un disturbo post-traumatico da stress?

Non tutte. Si può dire, quindi, che l’evento in sé non può essere l’unica causa del disturbo.

 

Cosa è utile fare?

Innanzi tutto è necessario considerare che il sovraccarico causato da un trauma e’ quasi sempre non affrontabile da soli.

Sapere, inoltre, che chi sta affrontando le conseguenze di un evento traumatico non sta impazzendo o pagando chissà quale colpa.

E’ importante e molto utile, quindi, cercare un aiuto specialistico, come quello di uno Psicoterapeuta.

Come nasce la Paura di Impazzire

Come nasce la Paura di Impazzire

Come nasce la paura di impazzire?                         

La paura di impazzire è uno stato d’animo generalmente associato all’ansia e agli attacchi di panico.

Infatti gli attacchi di panico possono considerarsi quasi come una manifestazione fisica di tale paura.

Tale paura nasce dalla sensazione di perdita totale di controllo.

La paura di stare male porta a fare strani pensieri sulla vita, sulla realtà e la testa va in confusione. Questi pensieri aumentano il timore di avere qualcosa di strano e la paura diventa angoscia.

A volte questo pensiero è solo temporaneo, in altri casi può diventare quasi un’ossessione. 

 

Come fare per non fartene condizionare?

L’ansia può manifestarsi anche con sintomi quali, per esempio, forte senso di irrealtà, sensazione di estraneità dal proprio corpo e da quello che ci circonda.

Tali sensazioni spaventano in maniera eccessiva e sapere che si tratta di ansia e nient’altro, per quanto spaventosa possa essere, forse può essere d’aiuto.

Inoltre, questi brutti pensieri e strane sensazioni se ne vanno piano piano da soli, naturalmente.

 

Come superarla?

Non esiste un’unica soluzione: per ogni persona esiste una chiave, legata alla sua storia, che la può riportare a contatto con la realtà e ridimensionare lo stato di angoscia.

Un modo efficace per cercare di superare la paura di impazzire è quello di parlare e condividere questo stato d’animo, le sensazioni che si provano ed i sintomi.

Per essere supportati nel modo migliore sarebbe utile cercare aiuto rivolgendosi ad uno psicoterapeuta.

Come affrontare un attacco di panico

Come affrontare un attacco di panico

Che cos’è un attacco di panico?

L’attacco di panico è una condizione di intensissima paura, che provoca una forte sofferenza, sopraggiungendo improvvisamente.

Esso dura generalmente alcuni minuti, ma causa all’ individuo un notevole livello di angoscia.

 

Come reagisce la persona la prima volta?

Chi ne viene colpito la prima volta tende a fraintendere ciò che sta accadendo, perché gli attacchi di panico sono tanto sconvolgenti da indurre un disorientamento psicologico profondo, in chi li subisce.

Il primo attacco di panico generalmente arriva all’ improvviso ed inaspettatamente, per cui la persona prova un enorme paura e, spesso, ricorre al pronto soccorso.

 

Cosa pensano le persone?

Le persone sono molto preoccupate, solitamente, delle possibili implicazioni degli attacchi e temono di avere un qualche tipo di grave malattia, pericolosa per la vita, non diagnosticata.

Alcune persone temono che gli attacchi di panico siano indice di pazzia o di perdita di controllo degli impulsi emotivi.

Qual è la caratteristica principale?

La caratteristica principale è la ricorrenza inaspettata e la preoccupazione, persistente, che possa manifestarsene un altro.

La persona vive nell’assillo delle possibili conseguenze e soprattutto orienta il suo comportamento in seguito all’attacco, evitando situazioni, luoghi e circostanze in cui teme che possano verificarsene altri.

 

Perché si parla di evitamento situazionale?

Di fatto le fobie che sviluppano le persone con disturbo da attacchi di panico, non vengono dalla paura di oggetti o eventi reali, ma piuttosto dalla paura di avere un altro attacco.

In alcuni casi, le persone eviteranno certi oggetti o situazioni (evitamento situazionale) per via della loro paura che queste possano far scaturire un altro attacco e subire ancora i sintomi di un attacco di panico.

Invece, non è importante la causa dell’ attacco, ma gli  stimoli (luci, odori, battito accelerato) presenti in quel momento che, se si avvertono in un’ altra situazione, verranno interpretati come precursori di attacchi di panico.

 

Quali sono i sintomi?

– Accelerazione cardiaca;

– Palpitazioni;

– Tachicardia;

– Dolore toracico;

– Tensione crescente;

– Sudorazioni;

– Tremori;

– Sensazione di soffocamento;

– Paura di perdere il controllo;

– Paura di morire;

– Paura di impazzire.

 

Che caratteristiche di personalità hanno le persone che ne soffrono?

Di solito si presentano come persone molto forti, che ostentano sempre grande sicurezza, che non si appoggiano mai agli altri e che pensano di sapere tutto.

Testardi ed ostinati nelle scelte e nelle decisioni, non manifestano mai le loro emozioni e non riconoscono quelle degli altri.

Lavoratori instancabili, sopprimono ogni malessere di tipo psicologico.

Questa tipologia di persona viene vista dall’esterno come persona determinata e propositiva,  con un forte carattere .

Può capitare, però, che una qualunque circostanza imprevedibile vada ad interrompere quell’equilibrio fittizio che si è costruito.

Questo tipo di persona non possiede gli strumenti necessari per un plastico adattamento ad eventi negativi imprevedibili, perché  i suoi processi, cognitivi e comportamentali  sono unilaterali e rigidi.

La conseguenza di tutto ciò è la perdita di controllo  sulle situazioni esterne e una disorganizzazione della struttura psichica interna, che porta ad angoscia, senso di vuoto, panico e smarrimento.

 

Quali sono le conseguenze degli attacchi di panico se non curati?

La qualità della vita può essere seriamente danneggiata.

I dati della ricerca-studio hanno mostrato che le persone che ne soffrono:

–  possono essere inclini all’ alcol e ad altri abusi di droghe;

–  passano più tempo nelle sale d’ emergenza degli ospedali;

–  passano meno tempo con i loro hobby, sport ed altre attività più appaganti;

–  tendono ad essere finanziariamente ed emotivamente dipendenti da altri;

–  hanno paura di guidare  o di camminare da sole anche per brevi distanze da casa (agorafobia).

 

Dagli attacchi di panico si può guarire?

Si.

 

Che cosa è importante fare?

Data  la forte tendenza di questi disagi a diventare cronici, dato l’ alto livello di compromissione del funzionamento sociale e della vita relazionale, data l’ intensa sofferenza soggettiva che provocano nella persona è importante:

a)  accettare l’ ansia come un fatto fisiologico che non può essere combattuto e gestito;

b)  riconoscere che la buona volontà non basta e che si ha bisogno di un aiuto;

c)  intraprendere un percorso terapeutico che preveda anche l’ integrazione di più interventi che si completino a vicenda.

Che cos’è un’emozione?

Che cos’è un’emozione?

Un’emozione è qualcosa che altera il nostro stato abituale…. è un’onda che ci attraversa, che ci scuote dalla nostra condizione.

E’ ciò che ci rende vivi, che ci fa intraprendere strade, che ci permette di stupirci e scoprire ogni cosa. Insomma l’emozione ci fa vivere senza dar niente per scontato.

E’, inoltre, il termometro della nostra anima e l’unico strumento che ci dice come e dove siamo in un preciso momento.

 

Quindi, dobbiamo vivere le nostre emozioni?

Direi proprio di sì!

Iniziare la propria giornata chiedendosi: “Oggi come mi sento? cosa provo?” è un modo per vivere un’ emozione del momento, per ritornare al nostro sentire.

 

Per che cosa è utile?

Sapere come stiamo in un preciso momento ci aiuta soprattutto a ridurre la tensione, lo stress e, pertanto, a far tornare il corpo in equilibrio. Si può dire che un’ emozione è una garanzia per la nostra salute.

 

Perché sapere come ci sentiamo è così importante?

Tutte le esperienze della nostra vita, anche i dati della ricerca scientifica lo confermano, sono collegate ad un vissuto emozionale.

Le nostre azioni, quindi, sono determinate dalle emozioni.

Soprattutto in questo momento storico in cui la tendenza generale della società è verso un’autonomia esasperata dell’individuo, una maggiore competitività, un aumentato isolamento ed un deterioramento dell’integrazione sociale, diventa indispensabile un aumento della collaborazione e dell’attenzione verso gli altri e non certo il contrario.

In questa atmosfera di crisi sociale, sono evidenti anche i segni di un crescente malessere emozionale.

Viviamo, infatti, momenti di grande confusione, disorientamento, incertezza, frustrazione, impotenza ed isolamento.

Proprio perché  le emozioni sono necessarie in quanto sono un segnale che ci avverte quando qualcosa non va, imparare a sapere come ci sentiamo ci aiuterebbe a non esserne sopraffatti.

Certo, anni e anni di cultura ci hanno insegnato che le emozioni vanno trattenute e non manifestate con disinvoltura.

Ci è stato insegnato che, per esempio, arrossire è sinonimo di debolezza e vulnerabilità e che i veri uomini sono quelli che non lasciano trasparire nessuna emozione.

Fingere di non avere emozioni significa far finta di essere un robot.

Se una persona finge per molto tempo di non avere emozioni, alla fine può avere difficoltà ad essere consapevole delle proprie emozioni e riconoscerle.

Inoltre, se prima non le riconosciamo è difficilissimo cercare di non far trapelare l’emozione che stiamo vivendo. Per riuscire a cambiare quello che non va, è necessario cercare di non lasciarci vincere dalle nostre emozioni.

Ciò significa che è importante trovare una via di mezzo tra il soffocare le proprie emozioni e il farsi dominare da esse.

L’insegnamento di reprimere le proprie emozioni impoverisce la nostra esistenza, rendendoci più limitati, con meno strumenti di comprensione e di relazione con gli altri e con l’ambiente.

 

Cosa possiamo fare?

Possiamo imparare ad essere  amici delle nostre emozioni. Le emozioni che proviamo ci consentono, infatti di conoscere:
– ciò che accade
– ciò che vogliamo
– ciò che per noi è importante.

Una vita senza emozioni è una vita senza sapori né odori, senza scosse, è vero, ma anche senza vitalità.

 

Ma quante sono le emozioni con cui dobbiamo essere amici?

Sono tante, più di 100, con tutte le loro variazioni, mutazioni e sfumature.

Quante emozioni … gioia, tristezza, felicità, paura, vergogna, ansia, angoscia, tensione, trasporto per qualcuno, desiderio, malinconia … spesso queste sensazioni si alternano tra di loro e si sovrappongono…più è intensa l’emozione e meno sappiamo riconoscerla e nominarla.